Un errore da 10 milioni di euro

Dieci milioni di euro. A tanto, ma anche di più, potrebbe ammontare il risarcimento che lo Stato italiano potrebbe vedersi costretto a pagare per risarcire l’eventuale ingiusta condanna subita e patita dai sette imputati per la strage di via d’Amelio condannati all’ergastolo e per i quali si prospetta la revisione del processo.

La stima è dell’avvocato Marzia Maniscalco, autrice de L’errore giudiziario e L’ingiusta detenzione nel Trattato dei nuovi danni pubblicato da Cedam nel 2011. Le risultanze delle nuove indagini codotte dal Procuratore, Sergio Lari, sulla strage che sconvolgerebbero le verità processuali fin qui passate in giudicato, sono al vaglio della Procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, che si appresta a far partire un processo di revisione, davanti alla Corte d’appello di Catania (o Messina se i giudici etnei dovessero astenersi), per i sette condannati all’ergastolo per l’eccidio Borsellino.
Si tratterebbe del più grave errore giudiziario della storia della giustizia italiana considerato il numero di soggetti coinvolti.

A mettere a soqquadro le verità giudiziarie rese definitive dalla Cassazione, sono stati i nuovi collaboratori di giustizia, Gaspare Spatuzza e Frabio Tranchina che con i loro racconti hanno consentito di individuare nuovi responsabili evidenziando l’estraneità di altri già condannati all’ergastolo Le dichiarazioni dei nuovi pentiti smentiscono – pare anche con riscontri oggettivi – quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Candura, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino (che peraltro hanno ritrattato) e forniscono una chiave di lettura diversa della fase esecutiva della strage del 19 luglio 1992 rispetto a quella prospettata in aula alle Corti giudicanti – sulla base delle dichiarazioni dei pentiti e delle risultanze dell’epoca – dai pm Carmelo Petralia, Annamaria Palma, Nino Di Matteo, e dai Pg Giovanna Romeo e Dolcino Favi (ma non dal Pg Roberto Sajeva).

In sette adesso sperano di veder cancellata la loro condanna al carcere a vita per l’uccisione di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Claudio Tarina.

Si tratta di Salvatore Profeta, che l’ergastolo se lo è visto infliggere nel primo processo per la strage di via d’Amelio, e gli altri sei, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, che la condanna l’hanno ricevuta a conclusione del processo d’appello-bis. Fra i sette per i quali si prospetta la revisione del processo – il cui esito, ovviamente, non è scontato – tre erano incensurati prima dell’inizio di questa tormentata vicenda processuale: Murana, Urso e Vernengo.

Il Pg nisseno potrebbe chiedere per loro – e per gli altri quattro – la cancellazione solo dell’ergastolo per la strage ma non di quella per associazione mafiosa. In tal caso, gli avvocati Rosalba Di Gregorio, Giuseppe Dacquì e Pino Scozzola che li assistono, hanno già pronta la richiesta di revisione anche per quest’ultimo reato.

Da “forse innocente”, Gaetano Murana, 53 anni, al primo ottobre scorso ha trascorso in carcere, complessivamente, 4724 giorni. Venne arrestato il 18 luglio del 1994 e poi scarcerato il 13 febbraio del 1999 (dopo ben 1671 giorni trascorsi al 41bis fra Pianosa e l’Asinara, così come tutti gli altri im-putati) con la sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta che lo ha assolveva per la strage, ma gli infliggeva 8 anni per associazione maἀosa.

«Figlio di un pescatore, faceva lo spazzino all’Amia. Per via del processo – dice l’avvocato Rosalba Di Gregorio che lo assiste – è stato prima sospeso e poi licenziato. Ricordo che quando venne assolto in primo grado tornò in servizio e il primo incarico che gli diedero fu quello di andare a spazzare davanti all’Ucciardone».
Murana dopo la sentenza con la quale i giudici d’appello lo condannarono all’ergastolo, il 18 marzo del 2002, si presentò spontaneamente in carcere. Con lui, adesso, sperano nel buon esito della revisione la moglie ed il figlio che quando il padre venne arrestato per la prima volta aveva appena 2 mesi. Giuseppe ‘Franco’ Urso ha 52 anni ed in carcere, complessivamente, ha trascorso 4724 giorni (sempre al primo ottobre scorso).
È stato arrestato il 18 luglio del 1994 e poi scarcerato il 13 febbraio del 1999 con la sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta che lo assolveva per la strage, ma gli infliggeva 10 anni per associazione mafiosa.

Cugino di Francesco Marino Mannoia, al maxi processo, ‘Franco’ Urso era stato peraltro assolto dal reato di associazione mafiosa. Quando il 18 marzo del 2002 i giudici d’appello lo condannarono all’ergastolo per via D’Amelio, si rese irreperibile fino al 23 maggio del 2003. Cognato di Cosimo Vernengo, gestiva con la sorella una rivendita di vini nella zona di ponte dell’Ammiraglio a Palermo che, oggi, non c’è più.

Cosimo Vernengo, 47 anni, ha trascorso in carcere 4346 giorni. È stato arrestato il 18 luglio del 1994 e poi scarcerato il 13 febbraio del 1999 con la sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta che lo ha assolveva per la strage ma gli infliggeva 10 anni per associazione mafiosa. Quando il 18 marzo del 2002 i giudici d’appello lo condannarono all’ergastolo si rese irreperibile fino 6 marzo del 2004.
Figlio del boss Pietro Vernengo, Cosimo è sposato ed è padre di tre figli. Prima dell’inizio di questa vicenda aveva una impresa di rimessaggio barche che ora non c’è più.

«Tenendo conto della notevole durata di restrizione subita, accompagnata dalle incisive modalità di esecuzione, nonché alle conseguenze personali e familiari che ineriscono alla salute ed ai pregiudizi lavorativi e affettivi – dice a il Sud l’avvocato Maniscalco a proposito delle posizioni dei tre incensurati – pur ritenendo che attribuire alla libertà lo stesso valore per tutti sia solo formalmente ed in apparenza rispettoso del principio di uguaglianza – portando, invero, ad una inaccettabile omologazione delle persone, quali individui privi di individualità – non si crede, comunque, potrà scendersi al di sotto della soglia base di un milione e duecentomila euro cadauno, prospettandosi importanti aggiustamenti, anche sino al doppio, sulla scorta delle allegazioni delle parti e senza considerare gli eventuali pregiudizi di tipo patrimoniale da demandarsi, nel caso di cessione di attività imprenditoriale, alla stima di un perito».

Il record, per così dire, di detenzione “ingiusta” spetta (calcolando sempre come giorno ultimo il primo ottobre 2011) a Salvatore Profeta, cognato del pentito Vincenzo Scarantino. Arrestato il 9 ottobre del 1993 e condannato all’ergastolo nel primo processo per la strage in tutti i gradi di giudizio, Salvatore Profeta ha già trascorso in cella 6566 giorni. Profeta, però, così come Gaetano Scotto, Giuseppe La Mattina e Natale Gambino aveva altre pendenze con la giustizia, anche se, tutte, abbondantemente scontate.

La revisione del processo potrebbe essere chiesta pure per l’ex pentito Vincenzo Scarantino, il “picciotto” della Guadagna che ha dato il via ad una vicenda giudiziaria oscura sotto molteplici aspetti, ed ha subito una condanna a 18 anni di reclusione con una sentenza di primo grado curiosamente non appellata.
(da ilSud)

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