Tra cene, cure e ristrutturazioni

Nell’ambito dell’inchiesta “talpe alla Dda” di Palermo «non ci furono indagini su magistrati dell’ufἀcio anche perché non le avrem-mo potute fare noi, bensì la Procura di Caltanissetta e comunque lo escludo perché non ci fu alcun invio di atti».

Lo ha affermato il procuratore nazionale antimaἀa, Pietro Grasso, all’epoca dei fatti capo della procura di Palermo, deponendo lo scorso 16 aprile al tribunale di Caltanissetta, al processo civile intentato dal sostituto procuratore Antonio Ingroia nei confronti dell’ex gover-natore della Sicilia, Salvatore Cuffaro.

Nell’atto di citazione, il Pm che si occupa, fra le altre cose, dell’inchiesta sulla presunta trattativa fra maἀa e Stato, chiede un risarcimento di 500mila euro all’ex senatore Udc che durante la trasmissione Annozero del 16 novembre 2006 disse «si dovrebbe meravigliare l’onorevole Fava che l’ingegnere Aiello, tre giorni prima che venisse arrestato, è andato a cena con un magistrato della procura di Palermo: il dottor Ingroia, con Ciuro e altri».

Il processo si svolge a Caltanissetta perché l’articolo 30/bis del codice di procedura civile richiama espressamente l’art.11 del codice di procedura pena-le che prevede che «i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato» sono di competenza del giudice che «ha sede nel capoluogo del distretto di Corte di appello determinato dalla legge».

E cioè, in questo caso, Caltanissetta.  Dopo aver pronunciato davanti al giudice Giulio Corsini la formula di giuramento di rito, il procuratore Grasso ha ripercorso l’origine delle indagini, nel 2003.

«Si iniziò un’indagine su Michele Aiello a seguito di alcune dichiarazioni del collaboratore Giuffrè. In particolare – racconta Grasso – risultavano contatti tra il maresciallo Ciuro, allora segretario del dottor Ingroia, con l’Aiello, ma in verità sembravano millanterie così non sembrava necessario procedere ad indagini anche nei confronti del maresciallo. I procuratori aggiunti erano informati dell’esistenza delle indagini nei confronti di Aiello».

Invece, nel settembre del 2003, si scoprì per caso, a seguito di una telefonata della moglie di Ciuro, l’esistenza di una «rete riservata tra poche persone e cioè l’Aiello, il maresciallo Riolo, il Ciuro e qualche altro. Nelle precedenti intercettazioni – ha rivelato Grasso – venne fuori che alcuni magistrati frequentavano la clinica di Aiello, nel senso che ricorrevano a degli interventi sanitari presso la struttura.
Il Ciuro in sostanza si faceva portatore di queste istanze da parte di questi colleghi, e lo faceva quasi spontaneamente. Dato che Ciuro stava nella stanza dell’Ingroia, conoscendo tutti i segreti dell’ufficio, io chiamai Ingroia e gli riferii dell‘indagine e in particolar modo dei rapporti del Ciuro stesso con Aiello.
A quel punto Ingroia mi chiese consiglio e mi rilevò che alcuni operai di una impresa edile di Aiello stavano facendo dei lavori presso una villa dei genitori dell’Ingroia, credo a Calatafimi.
Tra l’altro questa cosa risultava in qualche modo precedentemente da alcune intercettazioni tra il Ciuro e l’Aiello in relazione a del materiale e a dei pagamenti che riguardavano questi lavori.
Io – dice Grasso – gli consigliai di non fare trapelare nulla dato che le indagini erano ancora in corso, di fare ἀnta di nulla e di continuare con i suoi rapporti con i due, come se nulla fosse. Io ritenni di informarlo formalmente delle indagini non appena la posizione di Ciuro divenne realmente seria e grave».
Grasso ha poi ricordato che gli arresti «avvennero il 5 novembre 2003 e allora ἀnirono ovviamente i rapporti in questione».

Sollecitato a spiegare il contesto del colloquio con Ingroia, Grasso ha detto: «Lui mi chiese cosa fare e io gli dissi di fare ἀnta di nulla, per il momento».
Alla domanda se altri magistrati in servizio a Palermo avessero avuto qualche rapporto con Aiello, Grasso ha detto di ricordare «in particolare il caso di un figlio di un aggiunto che si ruppe una gamba e il Ciuro disse subito di portarlo alla clinica dell’Aiel-lo».

Chiarito che sui magistrati di Palermo non ci furono indagini – e peraltro gli stessi non vennero considerati parte offesa, perché altrimenti il procedimento “talpe alla dda”, con il quale Cuffaro è stato condannato in via definitiva a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato, non si sarebbe potuto svolgere presso gli uffici giudiziari di Palermo, bensì a Caltanissetta (sempre ex art.11 c.p.p. ndr.) –, Grasso ha poi detto di ricordare «che un funzionario di polizia fu coinvolto, tale Giacomo Venezia. Lui dichiarò di avere partecipato a cene con l’Aiello e anche con magistrati”.

TRATTO DA “il Sud

http://www.sudmagazine.it/anniversari/gli-strani-affari-del-maresciallo/3160/

 

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