Sicilia, i conti che non tornano

di Giulio Ambrosetti – Dietro i grandi disastri finanziari di una comunità c’è, quasi sempre, una politica che si occupa di tutto, tranne che di perseguire l’interesse pubblico. Del resto, una Regione italiana autonoma – la Sicilia – che, direttamente ( i due miliardi di euro ‘buco’ nel proprio bilancio) e indirettamente (altri 5 miliardi e 800 milioni di euro di passività delle società collegate alla stessa Regione), accumula un deficit strutturale di 7 miliardi e 800 milioni di euro deve avere dietro, per forza di cose, una classe politica e di governo dissennata.
Già, la ‘polveriera’ sulla quale la classe politica siciliana continua a ballare. Di questo bisogna dargliene atto: senza questo spirito del “Titanic” gli amministratori della cosa pubblica siciliana non potrebbero andare avanti. Mai prendere in seria considerazione la montagna di ghiaccio – cioè il disastro finanziario – che, da un omento all’altro, potrebbe travolgere la nave-Sicilia, proprio come cento anni fa circa l’iceberg travolse, in pieno oceano Atlantico, quella che era considerata la più grande e più moderna imbarcazione di allora.
Ma se si trattasse di semplice dissennatezza, beh, già sarebbe una grande cosa. Il problema, come ha osservato il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa, Ugo Rossi (del quale, nella scorsa puntata di questo nostro ‘viaggio’, abbiamo riportato alcune considerazioni), è che oggi, in Sicilia, ci sono “i politici che debbono guadagnare su tutto”. Sugli appalti (“Se un appalto pubblico non prevede la tangente non si fa e basta”, ha ricordato Rossi). Sulle energie alternative (in molti casi gestite da società riconducibili agli stessi politici). Sulla sanità (proprio qualche settimana fa è stata bloccata la gara per la fornitura di prodotti sanitari, per un importo pari a 56 milioni di euro, perché si è scoperto che tutte le gare le vince, guarda caro, una sola azienda).
Rubare rubare rubare: sembra questo l’imperativo categorico che oggi contraddistingue la gestione della cosa pubblica in Sicilia. Sarebbe un errore, però, pensare al solito furto, magari con ‘destrezzza’. Ci sono, è vero, quei politici che si mettono direttamente in tasca i contributi erogati dalla stessa pubblica amministrazione. Ma, ovviamente, le ‘declinazioni’ per svuotare, naturalmente sempre con ‘destrezza’, le ‘casse’ pubbliche sono tante. Una più fantasiosa (e più truffaldina) dell’altra.
In occasione dell’approvazione, da parte del parlamento siciliano, dell’ultima manovra finanziaria, tanto per citare un altro esempio ‘virtuoso’, una “manina” ha provato a raddoppiare le indennità dei dodici assessori che fanno parte della giunta regionale. Ogni assessore regionale, per la cronaca, si mette oggi in tasca circa 15 mila euro al mese. Certo, la nave sta affondando. Ma un conto è affondare con 15 mila euro al mese, un conto è andare a picco con 30 mila euro al mese. La differenza c’è, no? Peccato che, a un certo punto, questa ‘lodevole’ iniziativa sia stata ‘cassata’ da un atto di resipiscenza del parlamento siciliano.
E che dire dei prepensionamenti made in Sicily che, proprio in questi giorni, affollano le pagine di settimanali e periodici regionali e nazionali? In Italia, ormai da qualche anno, impazza la polemica sulle pensioni. Ma non solo sulle pensioni da fame, ma anche sul momento in cui mandare in pensione la gente. Il pensionato, si sa, si sente escluso dalla società. Così i ‘liberali’ Berlusconi e Tremonti, per far sentire ‘vivi’ gli italiani che avanzano con l’età, hanno deciso, bontà loro, che si andrà in pensione quanto più tardi possibile, magari a 70 anni e oltre. D’accordo, in questo, con un’Unione Europea che, quando c’è da fregare i cittadini, è disposta pure a coltivare il mito dell’eterna gioventù.
E mentre in Italia si andrà in pensione a settanta anni, in Sicilia c’è chi riesce ad andare in pensione a meno di cinquant’anni. Come? Semplice: basta avere un parente prossimo di salute cagionevole da accudire. Hai il padre o la madre malata? Bene: vattene in pensione e occupati di loro. Fine. Non vi sembra ‘meraviglioso’? Potenza dell’autonomia siciliana.
Ah, dimenticavamo: una volta andato in pensione con venti-venticinque anni di anticipo nessuno si occuperà di accertare se, effettivamente, una volta a casa, vi occupate del ‘paparino’ e della ‘mammina’. Niente controlli, insomma. In pratica, se siete andati in pensione perché non potevate passare otto ore al giorno in ufficio lasciando a casa solo il vostro familiare malato, nessuno andrà ad accertare se, acciuffata la pensione, vi dedicate a un secondo lavoro, magari più impegnativo di quello che avete lasciato. Una ‘cucca’.
Un alto dirigente della stessa Regione – tanto per citare un altro esempio – ha lasciato il proprio lavoro ed è andato in prepensionamento senza avere ancora raggiunto i cinquant’anni. Ovviamente, per occuparsi di un proprio familiare malato. Poi, però, lo stesso dirigente è entrato a far parte della giunta regionale presieduta dall’attuale presidente della Regione, Raffaele Lombardo. La dimostrazione, nella migliore delle ipotesi, che i governanti della Sicilia non fanno nulla. Perché se lavorassero questo alto dirigente andato anticipatamente in pensione per occuparsi del padre malato avrebbe tradito lo spirito della legge della quale ha usufruito…
Malversazioni. Aggiramento sistematico delle leggi. Furbizie da quattro soldi. E, soprattutto, una profonda e completa immoralità della vita pubblica. I contributi in agricoltura sono un altro esempio di grande ‘moralità’ pubblica. Qualche mese fa si scopre che nella graduatoria per acciuffare un contributo di 454 mila euro c’è, niente poco di meno, che la moglie dello stesso presidente della Regione, Lombardo: Saveria Grosso (interessante anche la dizione amministrativa che giustifica tale contributo: “colture vegetali”, come se ci fossero anche colture ‘animali’) . Assieme a lei altre mogli di politici di rango.
La Sicilia scopre, così, che le mogli dei politici sono diventate imprenditrici agricole. Davanti a una notizia del genere esplode la polemica. Lombardo, un personaggio dalla straordinaria faccia tosta, si giustifica dicendo che senza quei soldi la moglie sarebbe costretta a licenziare.
Questa vicenda, dai risvolti incredibili, è emblematica. Già è discutibile – da parte dell’Unione Europea, che in molti casi tira fuori questi soldi – aiutare l’agricoltura siciliana non creando strutture pubbliche in grado di dare sollievo e rendere competitiva tutta l’agricoltura siciliana, ma erogando contributi ai privati (o meglio, erogandoli direttamente ai politici e alle loro mogli). Ma diventano ancora più discutibili le modalità con le quali Bruxelles avalla l’erogazione di questi contributi.
A rigor di logica tali contributi – che in molti casi, lo ripetiamo, sono inutili e perfino dannosi, visto che alterano il mercato – dovrebbero essere erogati ai cosiddetti agricoltori a titolo principale: cioè a chi, nella vita, vive di sola agricoltura. In una parola, ai veri agricoltori. Invece, in Sicilia, questi contributi – complice l’Unione Europea – vengono erogati anche ai cosiddetti agricoltori a titolo secondario: cioè a chi non vive di sola agricoltura. Insomma, un regalo di Bruxelles alla politica politicante siciliana.
Voi chiederete: dopo le polemiche la moglie del presidente della Regione ha rinunciato al contributo? Ma quando mai! Il ‘rischio’ che Saveria Grosso licenziasse i suoi dipendenti, grazie a Dio!, è stato parzialmente evitato, per la ‘felicità’ dei 5 milioni di siciliani che hanno atteso trepidanti la ‘bella’ notizia. Il progetto della moglie del presidente della Regione, infatti, da circa 900 mila euro (con il già citato contributo di 454 mila euro) è stato abbassato a 163 mila euro. Così la moglie del presidente della Regione, a causa delle ‘pretestuose’ polemiche, si è dovuta accontentare di un contributo di ‘appena’ 81 mila euro. Tranquilli, però: prima la stessa Saveria Grosso aveva messo nel ‘carniere’ un altro contributo pari a 247 mila euro per la propria azienda agrituristica; e, ancora un terzo contributo, pari a 23 mila euro, per la propria azienda agrumicola. In totale, circa 400 mila euro di contributi. E in questi 400 mila euro e rotti di contributi si condensa tutta la moralità pubblica della Sicilia dei nostri giorni, alla faccia di quel Bernardo Tanucci, il funzionario pubblico al tempo dei Borboni, passato alla storia per la sua grande rettitudine, che, come scrive Indro Montanelli nella sua monumentale ‘Storia d’Ittalia’, “morendo lasciò molta nomea e pochi patrimoni, a differenza dei governanti di oggi che lasciano poca nomea e molti patrimoni”.
Come si può notare, come sta avvenendo per le energia alternative, è la politica siciliana a non disdegnare di usufruire delle opportunità messe in campo dalla stessa politica (e da un’Unione Europea che presta il fianco a queste operazioni di ‘elevata’ moralità pubblica). A questo punto i lettori americani si chiederanno: chi decide a quali soggetti debbono essere erogati i contributi in agricoltura? Ovvero: chi stila le graduatorie? Semplice: i burocrati. Che, però, vengono nominati dai politici. Così i conti tornano. Almeno in questo caso.
(4 puntata continua)
da America Oggi

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