Lo stesso esplosivo utilizzato per tre agguati

CALTANISSETTA Un filo unico per tre stragi, due sventate ed una consumata: il «Brixia B5», un micidiale esplosivo. Ne è convinto il pm Luca Tescaroli che ieri, a conclusione della requisitoria al processo per il fallito attentato dell’Addaura, ha chiesto la condanna di alcuni fra i mandanti ed esecutori di quell’agguato avvenuto nel giugno ’89 ai danni di Giovanni Falcone e dei giudici svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehman. Centocinquant’anni di carcere per cinque boss, condanne più lievi per due pentiti. «Si sta ancora indagando per accertare la responsabilità dei componenti la commissione provinciale di Cosa nostra», spiega Tescaroli riferendosi all’esplosivo rinvenuto sulla scogliera palermitana nei pressi dell’abitazione estiva di Falcone. L’altra indagine, ancora in corso, condurrebbe in Veneto, al fallito agguato ai danni del giudice Francesco Saverio Pavone e porterebbe a collegamenti, ancora tutti da verificare, con la mafia turca. Entrambi gli attentati, miracolosamente sventati, comunque, appaiono legati a doppia mandata con quello, purtroppo tragicamente consumato il 2 aprile ’85, a Pizzolungo, nel trapanese, ai danni del giudice Carlo Palermo, e costato la vita a tre innocenti, Barbara Asta e i suoi due gemellini, Giuseppe e Salvatore. Fra l’esplosivo utilizzato a Pizzolungo e quello dell’Addaura, infatti, è stata accertata una perfetta compatibilità. E l’indagine si allarga: una grossa quantità dello stesso esplosivo era stata rinvenuta nei depositi di Malatacca e Rieti, quest’ultimo nella disponibilità di Pippo Calò. Ieri intanto, l’accusa ha formulato le sue richieste: 30 anni di reclusione per Totò Riina, Antonino Madonia, Salvatore Biondino, Angelo e Vincenzo Galatolo; 7 anni e 9 mesi per il collaboratore di giustizia Francesco Onorato e 2 anni per un altro pentito, Giovambattista Ferrante. Riina, Madonia e Biondino avrebbero preso parte alla riunione, avvenuta nell’87, nella quale il capo di Cosa nostra comunicò che «Falcone e Borsellino devono morire; come e quando poi si vedrà». Rancore personale, invece, avrebbero avuto i Galatolo, nella cui «competenza territoriale» si trovava la villa all’Addaura, per via di alcuni traffici di stupefacenti scoperti da Falcone. La Corte d’assise presieduta da Pietro Falcone dovrebbe entrare in camera di consiglio per emettere la sentenza all’inizio di novembre.

GIANPIERO CASAGNI

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