La competenza dei Pm sulla presunta `trattativa’

Se legata a stragi in campo Caltanissetta o Firenze

Palermo, 30 nov. 2009 (Apcom) – Trattativa o trattative? Sembra questo il problema da risolvere dai Pm di varie procure italiane che vogliono vederci chiaro sui presunti `accordi’ fra esponenti delle Istituzioni e Cosa nostra. Accertare la `data’ di queste presunte trattative serve, soprattutto, per stabilire la competenza a giudicare eventuali imputati.
Il primo a parlare di una presunta `trattativa’ e di un `papello’ era stato il collaboratore di giustizia, Giovanni Brusca, l’uomo che a Capaci aveva in mano in telecomando che fece esplodere l’esplosivo che uccise Giovanni Falcone e la sua scorta. Poi, più di recente, ne ha parlato Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito, morto dopo aver subito una condanna per mafia. Ciancimino Jr ha pure consegnato ai pm di Palermo una copia del `papello’ che, a suo dire, sarebbe stato consegnato dal padre, durante colloqui investigativi, a due ufficiali dei carabinieri. Su queste affermazioni hanno avviato indagini le procure di Caltanissetta e Palermo che hanno acquisito anche le dichiarazioni del killer pentito Gaspare Spatuzza. Le indagini dei Pm nisseni e palermitani proseguono in maniera parallela ma, prima o poi, dovranno arrivare al dunque. Se, come sostengono alcuni, la strage di via D’Amelio è stata decisa, dopo quella di Capaci, perché il procuratore Paolo Borsellino avendo appreso della trattativa si era `messo di traverso’, non v’è dubbio che si tratterebbe di una azione rientrante in `un unico disegno criminoso’ e pertanto a dover procedere sarebbe, in via esclusiva, la Procura di Caltanissetta che si occupa delle nuove indagini sulle stragi del 1992 riaperte dopo le dichiarazioni di Spatuzza. In caso contrario il fascicolo sulla `trattativa’ potrebbe restare nelle mani dei Pm di Palermo. Ma potrebbe anche lasciare l’isola.
E ciò perché se la ipotetica `trattativa’ è avvenuta dopo le stragi del 1992, ma ha a che fare con gli attentati di Roma, Firenze e Milano del 1993, o se dietro gli stessi ci fossero presunti accordi con zone `grigie’o `entità’ esterne a Cosa nostra – l’inchiesta fiorentina sul punto venne archiviata nel 1998 con un nulla di fatto – sarebbe la magistratura toscana, che sulla scorta delle dichiarazioni del dichiarante Spatuzza ha avviato nuove indagini, ad avere la competenza.
Il processo per le stragi del 1993 si celebrò a Firenze perché nel capoluogo toscano, il 27 maggio, in via dei Georgofili, avvenne il più grave degli attentati in quanto morirono 5 persone e 37 rimasero ferite (a Milano, in via Palestro morirono 5 persone e 12 rimasero ferite e a Roma ci furono 24 feriti) e quei tragici fatti vennero fatti rientrare nell’ambito di un unico disegno criminoso. I difensori di alcuni imputati, all’avvio del processo eccepirono, infatti, l’incompetenza per territorio della Corte d’assise di Firenze e chiesero la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Caltanissetta ritenuta competente. I giudici toscani però scrissero che “la causale delle stragi consente di affermare anche qual è il giudice competente a conoscere di tutte. E’ evidente, infatti, che la causale unitaria porta con sé l’unicità del disegno criminoso, giacché tutti i reati per cui è processo furono eseguiti per un fine specifico”. Il fine specifico delle stragi del 1993, per i giudici di Firenze, fu l’entrata in vigore della legge sul `carcere duro’. E ciò consentì alla Corte d’assise di escludere che le stragi del 1993 “siano collegate finalisticamente con quelle di Capaci e via D’Amelio”.
Una sorta di trattativa, però, sarebbe avvenuta già nell’agosto 1991. Ed è sempre Brusca ad averne parlato quando riferì dei tentativi di Cosa nostra di aggiustare il maxi processo in Cassazione concluso con la conferma delle pesanti condanne ai mafiosi, il 30 gennaio 1992. Brusca sostenne che già nel 1991 Totò Riina aveva deciso di uccidere i nemici: “Falcone e Borsellino, il questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, il dirigente del commissariato di Castelvetrano, Calogero Germanà e Antonio Manganelli”. Per eseguire i `verdetti’ di morte decisi da Riina, disse Brusca, si attese la decisione della Cassazione per evitare che il giudizio negativo venisse imputato alle azioni cruente già programmate.

Cas

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