Condannato all’ergastolo per l’omicidio del fratello che era vivo

Condannato all’ergastolo per l’omicidio del fratello che, invece, era vivo e si ripresentò dopo sette anni.
È il più incredibile errore giudiziario in cui è incappata la giustizia italiana, quello di Salvatore Gallo e del figlio Sebastiano.
La pirandelliana vicenda, in cui la realtà copiò la fantasia, ebbe inizio il 6 ottobre 1954, ad Avola, in provincia di Siracusa e costrinse il legislatore a modificare le norme sulla revisione dell’allora vigente codice di procedura penale.

Quel giorno la moglie del contadino Paolo Gallo si presentò alla stazione dei carabinieri a denunciare la scomparsa del marito che all’alba del giorno precedente era andato a lavorare i campi ma non era ritornato a casa. Nei campi, i militari dell’Arma rinvennero tracce di sangue. Altre tracce di sangue vennero trovate in casa di Salvatore Gallo, fratello dello “scomparso”.

Poiché era noto in paese che fra i fratelli Gallo non c’erano buoni rapporti e spesso venivano alle mani, per gli investigatori dell’epoca fu facile fare due più due: «Paolo Gallo è stato ucciso dal fratello che con l’aiuto del figlio Sebastiano ne ha occultato il cadavere».

Il corpo della vittima non venne mai trovato, ma Salvatore Gallo ed il figlio, nonostante si protestassero innocenti, vennero processati. Fu inutile, nel processo di primo grado, anche la testimonianza di due mediatori di cavalli che giurarono di aver visto Paolo Gallo vivo e vegeto. La Corte d’assise di Siracusa, davanti alla quale si celebrava il processo, fece arrestare i due testimoni e li condannò pure per falsa testimonianza.

Salvatore Gallo fu quindi condannato all’ergastolo sia in primo grado, che davanti alla Corte d’assise d’appello di Catania e rinchiuso nel penitenziario dell’isola di Ventotene, mentre al figlio Sebastiano vennero inflitti 12 anni e 8 mesi per occultamento di cadavere. Il ricorso per Cassazione dei due venne dichiarato inammissibile.

Dopo sette anni fu grazie ad un’inchiesta del giornalista Enzo Asciolla che si riuscì a scovare, il 7 ottobre del 1961, il “morto”, Paolo Gallo, alla periferia di Ispica, nel ragusano. La notizia, ovviamente, fece il giro del mondo e la giustizia italiana si trovò a dover risolvere un caso mai accaduto prima: un uomo chiuso in cella all’ergastolo per omicidio mentre il “morto” era in stato di fermo nella stazione dei carabinieri.

Ci vollero tre giorni per concedere la libertà provvisoria a Salvatore Gallo, anche perché le norme sulla revisione non prevedevano quel caso né il Presidente della Repubblica poteva concedergli la Grazia, perché quel tipo di procedimento è previsto solo per i colpevoli e non per gli innocenti.

Fu così necessaria una modifica al codice di procedura penale, approvata dal Parlamento il 14 maggio del 1965, per consentire alla Corte d’assise d’appello di Palermo, di avviare il processo di revisione per Salvatore Gallo. La nuova norma stabilì pure il diritto delle vittime degli errori giudiziari ad ottenere un risarcimento danni da parte dello Stato.

I giudici palermitani, riconobbero l’innocenza di Salvatore Gallo ma, avendo accertato che aveva aggredito il fratello, lo condannarono a 4 anni e mezzo di reclusione, pur ritenendo la pena assorbita dai sette anni già trascorsi in carcere, e non gli concessero nes-sun risarcimento.

Anni dopo il “morto”, che era stato processato per calunnia nei confronti del fratello ma assolto perché si era semplicemente allontanato volontariamente e non aveva avuto alcun ruolo nella condanna del congiunto, raccontò che Salvatore Gallo, appena uscito dal carcere «mi picchiò di nuovo e continuò a farmi dispetti».

(da ilSud)

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