Borsellino quater, Amato e Arlacchi: “Nessuno parlò mai di trattattiva”

“Trattativa? Non saprò mai se non me ne vennero a parlare perché non c’è mai stata o perché sapevano che, eventualmente, l’avrei interrotta”. Senza lasciare dubbi ad interpretazioni di sorta, l’ex presidente del consiglio Giuliano Amato, deponendo in Corte d’assise a Caltanissetta, al processo ‘Borsellino-quater’ ha escluso che a ridosso del 1992 ci sia stata una “trattativa” con la mafia. “Nessuno a me ne ha mai parlato”, ha ribadito spiegando poi che “non è che non si possa trattare in generale, ma con una organizzazione criminale infiltrata anche nel sistema politico ed amministrativo è da escludere”.
Rispondendo alle domande dei pubblici ministeri Giuliano Amato ha offerto una chiave di lettura diversa, ancorché autentica, dell’avvicendamento al Viminale, come ministro dell’Interno fra Enzo Scotti e Nicola Mancino escludendo categoricamente che ciò abbia provocato fratture fra Dc e Psi. Amato, invece, ha detto di aver saputo dall’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, di una visita, al Quirinale, fatta da Martelli e Scotti. “C’erano due voci su quella visita” ha detto il teste: “una voleva che i due fossero andati a proporsi da Scalfaro come futuri premier e vicepremier; l’altra, più benevola, che fossero andati dal Capo dello Stato per assicurare il loro impegno in un momento così difficile per il Paese”.
Giuliano Amato ha quindi spiegato che il vero motivo dell’allontanamento fra Craxi e Martelli fu il fatto che quest’ultimo “si era autocandidato alla successione di Craxi senza dirgli niente”.
Dell’incontro fra il suo segretario generale alla presidenza del consiglio, Fernanda Contri, e l’allora colonello del Ros, Mario Mori, di cui si era parlato in una scorsa udienza, Amato ha detto che avvenne certamente dopo la strage di via d’Amelio e per iniziativa personale della Contri: “Mi disse che voleva sapere se Mori sapesse qualcosa in più sulla strage e ricordo una certa sua desolazione perché anche Mori non sapeva nulla”.
Dopo Amato sul pretorio è salito l’ex consulente del ministero dell’interno e della Dia, Pino Arlacchi. Nel corso della sua lunga deposizione Arlacchi, che ha collaborato anche con Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha ricordato come il magistrato ucciso il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, gli avesse parlato di un fugace incontro, il primo luglio 1992, con il ministro Nicola Mancino appena nominato: “mi disse che c’era tanta confusione nella stanza e si strinsero solo la mano” a affermato il teste che ha poi parlato di un gruppo di potere composto da “uomini dei servizi segreti, fra i quali Bruno Contrada, e politici dell’area andreottiana”.
Nel 1985 “Giovanni Falcone – ha detto il teste – mi disse di aver saputo da Tommaso Buscetta che a capo della mafia c’era Giulio Andreotti.” Secondo Arlacchi tale ruolo di Andreotti era noto anche ai servizi segreti Usa. “Un ex agente della Cia, Phil Giraradi – ha riferito il teste – mi disse che nel 1982 c’erano microspie statunitensi nello studio romano di Andreotti che avevano registrato più incontri fra il defunto pluri presidente del Consiglio e boss mafiosi”.
Arlacchi ha pure detto che Giovanni Falcone si era mostrato contrario ad incriminare Andreotti “almeno fino a quando non fossero emerse prove di colpevolezza certe”. Circa i suoi rapporti con il ministro della giustizia Claudio Martelli, Arlacchi ha detto di aver avuto “diffidenza perché Cosa nostra nel 1987 aveva dato un sostegno importante al partito di Martelli, il Psi. Questa – ha proseguito – era una considerazione che condividevamo con Giovanni Falcone, ma lui mi disse che, ciononostante, visto che aveva gli spazi chiusi alla Procura di Palermo e visto che gli era stata data questa opportunità al ministero, bisognava giocarsela”.
Infine sulla presunta trattativa e sull’eventuale ruolo dei carabinieri l’ideatore della Direzione Investigativa Antmafia ha eslcuso l’esistenza di “una trattativa come se ne parla oggi. Se per trattativa si intendono contatti tra singoli pezzi dello stato con un mafioso, ce ne sono sempre state; se si intende un negoziato a tutto campo tra i vertici dello stato e Cosa nostra, non mi risulta ci sia stato”. I rapporti fra Mori e Ciancimino? “erano rapporti fra un carabinieri e un confidente. Trasformare questo singolo episodio in una trattativa non risulta da nessuna parte” ha detto Arlacchi che considerava “vecchi” i metodi utilizzati dal Ros e “una carta di poco peso, Vito Ciancimino: tutti alla Dia sapevamo che era un confidente dei carabinieri che se se ne andava in giro con carte e papelli…” ha affermato con un filo di ironia.
Infine Arlacchi ha rivelato di aver saputo da Gianni De Gennaro, nel 1993, che Marcello Dell’Utri aveva collegamenti con gruppo mafiosi perdenti, vicini a Lima e faceva da tramite con i mafiosi del nord Italia. Il processo riprende il 29 aprile con la testimonianza di Nicola Mancino.

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