L’agenda rossa di Borsellino non era in borsa il giorno della strage

La Cassazione:Gli accertamenti compiuti lo escludono

L’agenda rossa di Paolo Borsellino non è stata rubata, anzi, non era neppure nella borsa del magistrato assassinato in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992 perché “gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano ad escludere addirittura che la borsa presa in consegna dal capitano Giovanni Arcangioli contenesse una agenda, come da quest’ultimo sempre sostenuto”. Parola della sesta sezione penale della Corte di Cassazione che con la sentenza 389 del 2009 ha fatto proprie, integralmente, le conclusioni del giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta che ha dichiarato di non doversi procedere, per non aver commesso il fatto, nei confronti di Arcangioli imputato di furto pluriaggravato.

L’agenda rossa, sulla quale si sono scorsi fiumi di inchiostro per la giustizia italiana non è mai stata rubata. Nessun giallo, complotto o mistero, dunque.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione, presieduta da Giovanni De Roberto, la decisione del Gup di Caltanissetta, Paolo Scotto di Luzio, “si fonda su una motivazione analitica ed esauriente, che prende nel debito esame tutti gli elementi di prova e fornisce giustificazione adeguata della loro valutazione e dello loro ritenuta inidoneità complessiva a sostenere la tesi accusatoria e a legittimare il vaglio in sede dibattimentale”.
Dopo aver ricordato come Arcangioli, che era assistito dagli avvocati Diego Perugini, Sonia Battagliese e Adolfo Scalfati, abbia rinunciato alla prescrizione del reato perché voleva la dichiarazione della sua piena innocenza, la Cassazione rileva come il Gup abbia messo a confronto le dichiarazioni rese dall’ufficiale dell’Arma “con le risultanze obiettive delle indagini e con le informazioni provenienti da diverse persone informate sui fatti (ispettore Maggi, appuntato Farinella, dott.
Teresi, on. Ayala); e osserva che da nessuna di queste fonti, i cui contributi vengono puntualmente riportati e criticamente analizzati, è desumibile l’esistenza dell’agenda nella borsa maneggiata da Arcangioli e meno che mai si può ritenere la sottrazione ad opera di quest’ultimo dall’interno della borsa, d’altronde del tutto inverosimile se si considera lo spazio di tempo ristrettissimo a sua disposizione e il teatro del fatto in cui era convenuta dopo l’attentato tutta una folla di operatori di polizia”. Per questo e altri motivi di legittimità, anche su richiesta del procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Carlo Di Casola, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della procura di Caltanissetta contro il proscioglimento di Arcangioli.

Nell’agenda rossa, che l’Arma dei carabinieri aveva regalato a Borsellino, è stato raccontato dai parenti, il procuratore aggiunto di Palermo, era solito appuntare riflessioni, spunti d’indagine e appunti dei colloqui investigativi avuti con collaboratori di giustizia, soprattutto negli ultimi mesi che precedettero la strage in cui perse la vita con gli agenti della sua scorta. Secondo alcuni ci sarebbero stati scritti elementi utili ad individuare anche i mandanti esterni della strage di Capaci. Secondo altri l’agenda rossa è la ‘scatola nera della seconda Repubblica’ e potrebbe essere utilizzata, da chi se ne sarebbe appropriato, come strumento di ricatto nei confronti delle persone che sarebbero citate. La verità giudiziaria, però, dice che l’agenda rossa, divenuta oggi anche simbolo di chi chiede la verità sulle stragi di mafia, il 19 luglio del 1992 non era nella borsa di Borsellino quando ci fu la strage.

L’inchiesta conclusa con la decisione della Cassazione – dopo che, peraltro, era stata la procura di Caltanissetta a chiedere, per tre volte, l’archiviazione del procedimento – prese il via dopo la diffusione di un fotogramma a colori che ritraeva Arcangioli che si procedeva verso la parte terminale di via D’Amelio, con una borsa in mano. Quando la borsa venne aperta venne constatato che all’interno conteneva solo dei fogli di carta. Da qui l’inchiesta.

Come agenda di Paolo Borsellino, utile a ricostruire le ultime settimane di vita del magistrato, resta quella grigia, che era pure agli atti del primo processo per la strage di via D’Amelio.
Nell’agenda grigia sono segnati, minuziosamente, gli spostamenti aerei e tutti gli incontri di Borsellino come, per esempio, quello del 5 giugno alla Caserma Carini di Palermo (ma anche quelli con i militari dell’Arma di giorno 1 e 10 luglio quando ci fu anche una cena con i carabinieri, e dell’11 luglio) quello con il pm di Caltanissetta, Pietro Vaccara la sera del 17 giugno, quello del 28 giugno all’aeroporto di Roma con Liliana Ferraro (ma non è indicata la presenza del ministro Salvo Andò) ma anche le interviste rilasciate a giornali e Tv.

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Fratello magistrato ‘contesta’ motivazioni della Cassazione

Palermo, 19 nov. (Apcom) – “A questo punto non resta che trarre le inevitabili conseguenze da questa sentenza della Corte di Cassazione, incriminare la moglie del Giudice per falsa testimonianza e processare tutti i familiari del Giudice, figli, moglie, fratelli e sorelle per la sottrazione e l’occultamento dell’Agenda. Dato che Paolo non se ne separava mai solo i suoi familiari possono averla sottratta e occultata. Contro la madre del Giudice non si potrà procedere per sopravvenuta morte dell’imputato”. Lo scrive Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato assassinato in via D’Amelio il 19 luglio del 1992, su `Antimafia Duemila’ commentando la motivazione della sentenza della Cassazione relativa all’agenda rossa.
“Già quando il 1 aprile 2008 il GUP Paolo Scotto di Luzio aveva prosciolto il colonnello dei carabinieri del ROS Giovanni Arcangioli dall’accusa del furto avevo manifestato il mio sconcerto per il fatto che il processo si fosse chiuso in fase di udienza preliminare impedendo cosi ad un procedimento di tale importanza di arrivare alla fase dibattimentale nel corso della quale, con una analisi approfondita delle prove (addirittura fotografiche) e delle testimonianze (incerte e contraddittorie) avrebbe potuto essere accertata l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato”.
“Avevo poi sperato – prosegue Salvatore Borsellino – grazie al motivato e circostanziato ricorso presentato dalla Procura di Caltanissetta avverso a questa sentenza di assoluzione che la Corte di Cassazione annullasse questa abnorme sentenza di proscioglimento affermando che `il procedimento in oggetto è un classico caso in cui è necessario un vaglio dibattimentale’ per `colmare i vuoti’ e le contraddittorie testimonianze attraverso un `approfondimento dibattimentale'”.
“Era poi arrivato il 17 febbraio 2009 il macigno della dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Corte di Cassazione, evento con il quale, come dichiarai all’epoca, era stato posta una pietra tombale sulla ricerca della verità in questa vicenda, la sparizione dell’Agenda Rossa del Giudice che è a mio avviso uno dei motivi fondamentali dell’assassino del Giudice e delle modalità con cui è stata effettuata la strage: uccidere Paolo senza fare sparire anche la sua Agenda non sarebbe servito a nulla perché in quell’agenda sono sicuramente contenute le prove di crimini e di complicità che possono inchiodare alle loro terribili responsabilità una intera classe politica”.
“Le motivazioni della sentenza emessa dalla tristemente nota sesta sezione penale della Corte di Cassazione, riprese da Apcom, vanno addirittura al di là di questo già di per sè osceno quadro di evidenze negate, di verità nascoste e di crimini occultati. Si arriva addirittura a negare che la borsa del Giudice contenesse l’Agenda Rossa asserendo che ‘gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano addirittura ad escludere che la borsa presa in consegna dal Capitano Giovanni Arcangioli contenesse un’agenda’. Si prendono cioè – dice Salvatore Borsellino – per buone le dichiarazioni contraddittorie date in tempi diversi dall’imputato chiamando in causa testimoni che lo hanno smentito, come l’ex magistrato (al momento del fatto) Giuseppe Ayala o addirittura non presenti sul luogo della strage, come Vittorio Teresi, e non si da alcun valore alla testimonianza della moglie del Giudice, Agnese Borsellino, che vide Paolo riporre l’agenda nella borsa, dopo averla consultata nel pomeriggio di quel 19 luglio, prima di andare all’appuntamento con la sua morte annunciata”.

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Palermo, 19 nov. (Apcom) – “Le contraddizioni in cui incorrono i vari testimoni, sia pure spiegabili in ragione della lontananza nel tempo dei fatti, del tutto simili, a quello dell’imputato; la mancanza di indicazioni certe circa gli spostamenti dell’imputato, escluso che i filmati ne diano adeguatamente conto; i dubbi, non meramente congetturali sulla stessa presenza dell’agenda all’interno della borsa repertata dalla procura di Caltanissetta, non sembra possono autonomamente fondare una seria prospettiva dibattimentale”. Lo scrive il Gup di Caltanissetta, Paolo Scotto di Luzio nella sentenza con la quale il primo aprile del 2008 ha dichiarato il non luogo a procedere, per non avere commesso il fatto, nei confronti del colonnello Giovanni Arcangioli per furto pluriaggravato dell’agenda rossa del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, il giorno della strage di via d’Amelio il 19 luglio del 1992.

La sentenza assolutoria per l’ufficiale dell’Arma è stata confermata dalla Corte di Cassazione anche su richiesta della procura generale.

“Che i dati siano autonomamente leggibili secondo un ragionamento a posteriori – conclude il Gup nella motivazione della sentenza – non vale a modificare il quadro degli elementi valutabili; non sembra infatti che si possa presupporre dal mancato rinvenimento dell’agenda che essa sia stata rubata e in via di ulteriore deduzione che essa sia stata rubata dall’imputato”.

Nelle 27 pagine della motivazione, prive di tecnicismi giuridici, il Gup ricostruisce le dichiarazioni della persone informate sui fatti rilevando che le immagini nelle quali si vede Arcangioli con la borsa in mano, “non hanno una sequenza cronologica” e pertanto “non è possibile procedere a una ricostruzione cronologica delle immagini acquisite” ed, in particolare “non è possibile stabilire il tempo reale trascorso tra le immagini che inquadrano il capitano Arcangioli con la borsa in mano e quelle che lo ritraggono senza”. Ma neppure “è possibile sostenere che la borsa contenesse sicuramente l’agenda in questione”.

A proposito delle accuse mosse dalla procura ad Arcangioli, che non fece alcuna relazione di servizio il Gup scrive che “è tuttavia dimostrato che altri ebbero contatto con la borsa stessa senza compiere alcun atto di polizia giudiziaria, nemmeno verbale di sequestro”.

Nel prendere la decisione il Gup ha analizzato la relazione dell’ispettore di polizia Francesco Paolo Maggi, redatta il 21 dicembre 1992, dell’appuntato Rosario Farinella, agente di tutela a Giuseppe Ajala, dello stesso ex magistrato, di vigili del fuoco che operarono sulla blindata in fiamme e altri funzionari di polizia, carabinieri e magistrati.

Il Gup in motivazione ricorda pure le dichiarazioni dell’agente Vullo, l’unico scampato all’agguato che “sosteneva di aver notato poco prima dell’esplosione il magistrato nell’atto di accendersi una sigaretta e `con qualcosa che teneva sotto braccio’. Della prima circostanza aveva precisa memoria della seconda si esprimeva in forma dubitativa. Aveva ricordo, però, di una agenda nel momento in cui il magistrato era salito in auto prima di recarsi in via D’Amelio”.

Cas

191359 nov 09

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